Percezione del sé nel mondo digitale

[Ita] Spunti di riflessione emersi intorno al tavolo dedicato a libertà e controllo nella società digitale.

Matteo Bonera

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Il 7 novembre 2020, in occasione del convegno intitolato Una rete che imprigiona, una rete che sostiene, una rete che libera — Rimanere uomini nel tempo di una pandemia “social”, promosso dal Centro Culturale di Milano e dalla Fondazione Russia Cristiana, sono stato invitato a partecipare al dibattito dedicato a Libertà e controllo nella società digitale.

Ho colto felicemente l’occasione per parlare sopra un tema insolito rispetto alle conferenze cui sono solito partecipare che ha diverse volte stimolato il mio pensiero.

Nel 1791 il filosofo e giurista Jeremy Bentham introdusse l’idea che la progettazione architettonica avrebbe potuto risolvere il problema della sorveglianza dei carcerati. Il risultato di questo pensiero fu la teorizzazione del famoso Panopticon: un carcere a pianta radiale con una torre centrale di osservazione (opticon), punto prediletto per la sorveglianza di tutte (pan) le stanze.

Presidio modulo, Cuba, 1926

L’unico sorvegliante, posto all’interno della torre di guardia, era addetto a controllare i carcerati.

Erich Hartmann. Mannequin factory, 1969

L’idea del Panopticon come metafora di un potere nascosto, invisibile e severo è stata adottata da filosofi strutturalisti quali Noam Chomsky e Michael Foucault (vedasi Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, 1975) secondo il quale le istituzioni impongono la disciplina attraverso una intensa osservazione, programmando così il processo di produzione della soggettività nelle persone (quelli che nel libro venivano indicati come corpi docili).

Le conseguenze della disciplina del controllo hanno portato a riflessioni etiche in svariati campi delle scienze umane, non ultimo quello già citato dell’architettura, ma forse solo recentemente nel design digitale e le sue conseguenze nell’interazione uomo-interfaccia.

Il Panopticon mi ha sempre affascinato tanto da portarmi, nel 2008, ad indagarlo ulteriormente attraverso un’installazione artistica. Il tema del controllo tramite osservazione, esposto da Faucault, veniva ri-attualizzato sotto l’interpretazione più contemporanea della videosorveglianza nel mondo di internet, ed offriva le basi per giocare con il tema provocatoriamente. Sovvertendo le leggi del pan-ottico, l’installazione si poneva l’obiettivo di fondere i personaggi del sorvergliante e sorvegliato in un’unica figura.

Matteo Bonera, Laura Grasseni, Autopticon, 2008

Il posizionamento meticoloso delle webcam offriva inquadrature opportunamente studiate per mostrare, accanto all’immagine del fruitore, l’immagine del monitor a cui erano collegate, in modo da creare, con la latenza della trasmissione delle immagini, un eco del movimento del soggetto.

Video in cortesia di Simone B.

Le implicazioni e riflessioni artistiche (oltre che d’immagine) dell’Autopiticon che ben si sposavano perfettamente con con il tema del sibattito cui sono stato invitato a parteciapre. Per parlare di controllo e libertà nella società digitale vorrei prima partire dalla domanda:

Come ci percepiamo nello schermo?

Come ci vediamo gli altri nella piattaforma, e come ci vediamo noi.

Vi sarà capitato in questo periodo di essere collegati digitalmente attraverso svariate piattaforme seguendone incondizionatamente le sue logiche. Quando osserviamo la nostra immagine nell’applicazione la progettazione dell’interrfaccia è studiata in modo da restituirci un feedback visuale che conosciamo: quello dello specchio. Crediamo che la percezione di noi stessi corrisponda e sia identica in tutto il mondo e, pertanto, ne applichiamo le logiche sulla percezione degli altri.

Le selfiecam dei nostri smartphone e le svariate telecamere che incontriamo nelle nostre giornate ci portano a compiere azioni attraverso semplici ma estremammente studiati espedienti — nudge in gergo, spintarelle — ; possano esse essere delle linee che demarcano il profilo di una persona nel monitor di un termoscanner, nelle quali far coincidere la sagoma del nostro volto o ricercati filtri di instagram per trasformare il vostro volto in quello di un cane, di un coniglio, o di un gatto. La cosa che fa riflettere è che queste forze sono presenti senza che noi non ce ne rendiamo conto.

Questo ci porta a comprendere che solo tramite un approccio empirico di osservazione e studio possiamo studiare il comportamento progettato o automatico dell’algoritmo che governa le applicazioni che ci circondano. Esso sta diventando sempre più intangibile, nascosto dietro ad uno schema di scelte prestabilito più o meno razionalmente, e l’unica arma che abbiamo come uomini ingenui perindagarlo è provare a stimolarlo per percepirlo. Un’approccio quasi seicentesco come unica arma per la determinazione dell’algoritmo.

Nell’esempio a seguire un tentativo — molto ben riuscito e visualizzato — di spiegazione del funzionamento dell’algoritmo publicitario che regola la comparsa degli annunci pubblicitari nella piattaforma Facebook.

Vladan Joler, Monologue of the Algorithm, 2018

Quali interrogativi ci si parano davanti

1. Stiamo assistendo al progressivo scemare della nostra capacità di osservazione, di noi stessi quanto dell’opera d’arte, prima arma empirica per comprendere il mondo.

2. Utilizziamo dispositivi digitali di cui non riusciamo più a comprenderne il meccanismo e affidandoci nei percorsi tracciati da chi li ha pensati, impedendo così l’accadimento dell’inatteso tipico della vita, della frattura, dell’errore in cui nasce l’apprendimento (non per ultime le problematiche che nascono con la didattica a distanza).

3. Internet è una struttra che funziona tramite la comunicazione di pacchetti, quelli che hanno un indirizzo trovano il loro percorso, gli altri si depositano in un rumore di fondo. Se ponessimo questa struttura su un piano visuale è come avere tantissimi panopticon incastonati, o molti autopticon dove sì vediamo la nostra immagine di spalle ma non riusciamo a vedere tutti gli altri schermi dove compare il nostro volto. Un po’ come nella realtà dove noi siamo protagonisti e tutto ciò cui assistiamo e non elaboriamo diventa lo scarto che di notte elaboriamo tramite la generazione dei sogni.

Cosa potrebbe scorgere la nostra ritrovata capacità di osservazione se fosse orientata verso ciò che la più grande rete neurale mai esistita è in grado di sognare?

Insieme a me, digitalmente collegati hanno partecipato: Lorenzo Cantoni (Docente presso l’Istituto tecnologie digitali per la comunicazione, USI, Lugano), Silvana Bebawy (Dottoranda presso l’Università Cattolica, Milano) Anastasija Lotareva (Giornalista, lavora per la Fondazione russa “Takie dela”, Mosca); moderava la discussione Camillo Fornasieri (Direttore del Centro Culturale di Milano).

Guarda la conferenza:

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Matteo Bonera

Professor at Politecnico di Milano, Creative director at The Visual Agency